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icona itinerari Approfondimento itinerario: Gli ambienti fluviali della Piana d'Albenga

Un insolito coleottero

Il Centa è uno dei pochi siti liguri in cui è stata segnalata la presenza di un piccolo coleottero carabide, Astigis salzmanni (Germar, 1824), che vive sotto le pietre in ambienti ripari.
Lungo da 5,5 a 6,5 mm, è di colore verde-blu metallico superiormente e nero nella parte inferiore; le antenne e le zampe anteriori sono invece rossastre.
La specie appartiene ad un genere, diffuso soprattutto in regioni a clima tropicale o equatoriale, i cui antenati popolavano le terre del Gondwana (supercontinente in cui, durante il periodo Triassico - circa 200 milioni di anni fa, erano riunite le terre emerse attualmente distribuite nell'emisfero australe) e che ha raggiunto il Mediterraneo forse alla fine del Cretaceo (circa 65 milioni di anni fa).
L'attuale diffusione di questo insetto denota una sua probabile origine tirreniana; si rinviene infatti, sebbene sporadicamente, in tutto il Mediterraneo occidentale. In Italia è presente solo al Nord, Sicilia e Sardegna.

Albenga: città romana

Albium Ingaunum, la potente capitale della tribù dei Liguri Ingauni, estendeva il proprio controllo da Finale a Sanremo; fondata tra il VI ed il IV secolo a.C., si oppose tenacemente all'espansionismo romano sino al 181 a.C., quando il proconsole L. Emilio Paolo riuscì finalmente a sottomettere le genti della Piana.
La nuova città romana, rinominata Albingaunum, viene fondata, racchiusa da mura, secondo il tipico schema planimetrico a castrum; il territorio del municipium ricalca quello di influenza degli Ingauni: da Finale a Sanremo e, verso l'entroterra, sino a Ceva e Mondovì. Nel 13 a.C., con l'apertura della via Julia Augusta, la città cresce progressivamente di importanza come centro di scambi commerciali con la Gallia e, grazie al porto, con il Mediterraneo occidentale. Solo tra i secoli II e III d.C. viene abbattuta la vecchia cinta muraria, aprendo la città verso i nuovi suburbi che andavano sviluppandosi extra moenia, soprattutto lungo la via Julia Augusta verso la collina del "Monte", il promontorio che s'innalza dalla costa in località Vadino chiudendo la pianura verso Ponente.
Oltre alle tracce delle terme, dell'acquedotto e di vari recinti funerari seppelliti nell'attuale alveo del Centa, sono rimaste altre testimonianze di questo florido periodo sia sul "Monte" - già sede dell' oppidum preromano - sia lungo la via Julia Augusta in direzione di Alassio; nel primo sito sono visibili i resti dell'anfiteatro e, poco distante, un monumento funerario del I secolo, detto "Il Pilone", restaurato nelle forme attuali nel 1892; lungo l'antica strada per la Gallia sono invece venuti alla luce i resti di una necropoli con ampi recinti funerari e varie tombe, tra cui un interessante "colombario", databili in gran parte attorno al I secolo d.C.
In città, all'interno del perimetro delle vecchie mura, i resti di eopca romana giacciono sepolti sotto i basamenti degli edifici medioevali: in occasione di scavi per nuove costruzioni, sono stati rinvenute tracce di ville patrizie, di un grande edificio a pianta centrale - forse un mercato - oltre ai basamenti delle mura repubblicane, alle quali si sovrapposero, attorno al 417, quelle fatte erigere da Costanzo, generale dacio di Onorio e futuro Imperatore, per far fronte alle invasioni di Goti e Vandali.
Un importante monumento giunto sino ad oggi la cui origine viene fatta risalire alla ristrutturazione urbanistica di Albingaunum avviata da Costanzo, è il Battistero, con i suoi stupendi mosaici bizantini.
Con la realizzazione delle mura costantiniane, la città si racchiude nuovamente entro il perimetro urbano originario dell'impianto repubblicano, entro il quale rimarrà, pur libero e fiorente Comune marinaro, attraverso tutto il Medioevo sino al XX secolo.

La rana verde maggiore (Rana balcanica, Schneider, Sinsch et Sofianidou, 1993)

E' una rana di origine balcanica, introdotta nell'imperiese (Torrente Impero) nel 1942; da allora questa specie è andata espandendosi in tutta la Liguria occidentale - dal confine con la Francia sino al Loanese - a scapito delle forme autoctone: la rana verde minore (Rana esculenta) e la rana agile (Rana dalmatina); la sua diffusione lungo i corsi d'acqua verso l'entroterra della Piana di Albenga ha ormai raggiunto anche ambiti submontani.
Le grandi dimensioni e la buona adattabilità ecologica sono le carte vincenti per la diffusione della specie; prevalentemente diurna, di solito è facile osservarla al sole nei pressi degli specchi acquei, anche artificiali ed inquinati, dalla fine di marzo sino a settembre-ottobre.
Molto caratteristico è il canto - udibile anche in pieno giorno - che ricorda vagamente una sonora risata, da cui il vecchio nome scientifico di Rana ridibunda (Pallas, 1771). Caratteristica distintiva, che consente di classificare la specie, è la gola, che si presenta macchiata di grigio, al contrario della rana verde minore, dove invece è interamente bianca.

Il mare pliocenico

Nel Pliocene, tra 1,85 e 5 milioni di anni fa, l'attuale Piana di Albenga era occupata da un braccio di mare che formava un'ampia insenatura, i cui fondali sabbioso-limosi, relativamente bassi, erano popolati da una grande varietà di molluschi, soprattutto Lamellibranchi e Gasteropodi.
Questa fauna, caratteristica dell'antico Mar Mediterraneo, prima delle alterazioni subìte per effetto delle glaciazioni del Quaternario, ci indica la presenza di un mare caldo, con molte specie analoghe a quelle che attualmente si trovano in zone tropicali e specie molto simili a quelle che si rinvengono ancora oggi nei nostri mari.
I resti di questi animali si sono depositati in grandi quantità negli avvallamenti del fondale marino, inglobati in sedimenti costituiti prevalentemente da argille azzurre, che hanno garantito la conservazione dei fossili; la matrice tenera della roccia nei quali sono inglobati ha potuto garantire uno stato di conservazione eccezionale dei reperti.
La tutela di questo patrimonio paleontologico ha portato, nel 1985, all'istituzione della Riserva Regionale di Rio Torsero, sito di importanza a livello nazionale per l'abbondanza e lo stato di conservazione dei fossili pliocenici.
Le marne e le argille dei fondali più profondi sono successivamente state ricoperte da sedimenti argilloso-sabbiosi, alternati ancora ad argille.
Oggi questi terreni, identificati con il nome "Argille di Ortovero", affiorano in diversi punti posti ai margini della Piana, ad un'altitudine compresa tra 40 ed 90 metri s.l.m.
Successivamente, gli apporti detritici dei torrenti colmarono progressivamente l'estremità dell'insenatura, dando forse origine a complessi deltizi anche piuttosto estesi. Testimonianza di questa seconda fase sono rocce formate dalla cementazione delle sabbie e dei ciottoli trasportati dai corsi d'acqua, chiamate "Conglomerati del Monte Villa", note anche localmente con il nome di "Pietra di Cisano".
L'ultima fase pliocenica di riempimento della baia ingauna è testimoniata da terreni conglomeratici più recenti, aventi spesso colorazione arrossata, probabilmente dovuta all'alterazione pedogenetica della componente carbonatica, fase probabilmente avviatasi nel Villafranchiano, circa un milione di anni fa.

Il martin pescatore (Alcedo atthis, Linnaeus, 1758)

La calma apparente dei corsi d'acqua e degli stagni è talvolta interrotta da un guizzo blu metallico che attraversa l'aria, spesso accompagnato da un sonoro fischio acuto e secco: è il martin pescatore.
Un uccelletto di discrete dimensioni - circa 16 cm di lunghezza - con un piumaggio inconfondibile dai colori sgargianti: blu metallico sul dorso e sul capo, arancione vivo sul petto.
Appartiene all'ordine dei Coraciformi, che comprende gli uccelli più belli della nostra avifauna, osservabili nelle aree costiere dell'albenganese durante la stagione primaverile: gruccione (Merops apiaster), upupa (Upupa epops), ghiandaia marina (Coracias garrulus); sono tutte specie appartenenti a Famiglie con diffusione prevalentemente tropicale nel vecchio mondo che si sono adattate ai climi temperati delle nostre latitudini.
Il martin pescatore si può scorgere anche posato su rami sporgenti dall'acqua o sulla vegetazione in posizione dominante da cui può osservare la presenza di eventuali prede; queste sono costituite prevalentemente da pesciolini che afferra con il lungo becco tuffandosi in picchiata.
Nidifica scavando una galleria negli argini o nelle scarpate terrose, sempre nei pressi degli specchi acquei. Nel territorio ingauno è presente anche in inverno.

La fauna ittica

Il Centa ed il basso corso dell'Arroscia ospitano un popolamento ittico degno di rilievo: sono infatti presenti, confermati dai rilevamenti compiuti per la redazione della Carta Ittica della Provincia di Savona nel 2002: vairone (Leuciscus souffia), barbo (Barbus plebejus), barbo canino (Barbus meridionalis), lasca (Chondrostoma genei), tutte specie elencate nell'Allegato II della Direttiva 92/43 CEE "Habitat" che meritano la designazione di Zone Speciali di Conservazione. Inoltre si rinvengono cavedano (Leuciscus cephalus), anguilla (Anguilla anguilla), ed Abramis brama; dati storici segnalano inoltre lo spinarello (Gasterosteus aculeatus).
L'insieme di tali presenze, sebbene sia stata condizionata dall'attività pesca-sportiva, denota una discreta qualità dei corpi idrici ed individua, dal punto di vista faunistico, la "zona dei ciprinidi reofili", caratterizzata da acque limpide e ben ossigenate con fondo ghaioso - sabbioso, tipiche dei grossi torrenti di fondovalle.
La presenza di una piccola popolazione di Abramis brama - specie originaria dei grandi fiumi di pianura dell'Europa transalpina - nel Torrente Arroscia è certamente dovuta ad immissioni da parte dell'uomo, così come la possibile sporadica presenza di salmonidi (trota fario, trota iridea) è frutto del trasporto passivo di individui di ripopolamento rilasciati nei tratti torrentizi più a monte.
Presso la foce del Centa, la presenza di acque salmastre influenza anche il popolamento ittico, che vede l'ingresso di specie eurialine, come muggine (Liza ramada) e spinarello.

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