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icona itinerari Approfondimento itinerario: Percorso natura Cava Valloni

Le cave di argilla.

Lo sfruttamento dei giacimenti di argilla è stata un'attività piuttosto importante per il comprensorio ingauno, che ha raggiunto il culmine tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento; all'attività estrattiva era collegata quella delle fornaci per la cottura dei prodotti lavorati, soprattutto laterizi per l'edilizia, che sorgevano in diversi punti della Piana di Albenga.
Cave di argilla, ormai dimesse, si trovano nelle vicinanze di Ortovero, Villanova d'Albenga, Salea e Cenesi; il riutilizzo da parte dell'uomo dei siti più estesi e più facilmente raggiungibili è stato soprattutto quello di discarica di inerti, ma in molte località alla dismissione dell'attività estrattiva è seguito l'abbandono, che ha consentito alla "natura" di riprendersi i propri spazi, dando origine ad ambienti molto interessanti.
L'impermeabilità dell'argilla ha favorito l'accumulo delle acque piovane nelle depressioni e negli avvallamenti scavati nel corso dell'attività estrattiva, dando origine a stagni di varia dimensione e profondità, oltre a pozze temporanee; la presenza più o meno permanente dell'acqua ha permesso la colonizzazione dei suoli da parte di vegetazione tipicamente legata alle zone umide: giunchi, canne, tife, ma anche salici, ontani e pioppi.
Gli ambienti che si sono formati a seguito di questa naturalizzazione dei vecchi siti estrattivi costituiscono oggi le ultime zone di rifugio per quella fauna, legata alle zone palustri, che un tempo disponeva di ampie superfici della Piana di Albenga: la tutela di questi habitat è diventata di importanza fondamentale per la salvaguardia dei siti riproduttivi di invertebrati acquatici, di anfibi e della testuggine palustre.
Le pareti verticali dei vecchi fronti di cava, sottoposte all'azione dilavante delle acque meteoriche, hanno invece dato origine a morfologie di tipo calanchivo.
Sulle falesie si insedia a fatica una scarsa vegetazione erbacea legata ad ambienti secchi e, solo in alcuni punti, specie arbustive della macchia mediterranea: sono gli habitat tipici dei rettili più grandi della nostra fauna: la lucertola ocellata (Timon lepidus) ed il colubro lacertino (Malpolon monspessulanus); mentre le pareti verticali nei pressi dell'acqua sono i siti preferenziali per la nidificazione del martin pescatore (Alcedo atthis Linnaeus)

Il mare pliocenico.

Nel Pliocene, tra 1,85 e 5 milioni di anni fa, l'attuale Piana di Albenga era occupata da un braccio di mare che formava un'ampia insenatura, i cui fondali sabbioso-limosi, relativamente bassi, erano popolati da una grande varietà di molluschi, soprattutto Lamellibranchi e Gasteropodi.
Questa fauna, caratteristica dell'antico Mar Mediterraneo, prima delle alterazioni subìte per effetto delle glaciazioni del Quaternario, ci indica la presenza di un mare caldo, con molte specie analoghe a quelle che attualmente si trovano in zone tropicali e specie molto simili a quelle che si rinvengono ancora oggi nei nostri mari.
I resti di questi animali si sono depositati in grandi quantità negli avvallamenti del fondale marino, inglobati in sedimenti costituiti prevalentemente da argille azzurre, che hanno garantito la conservazione dei fossili; la matrice tenera della roccia nei quali sono inglobati ha potuto garantire uno stato di conservazione eccezionale dei reperti.
La tutela di questo patrimonio paleontologico ha portato, nel 1985, all'istituzione della Riserva Regionale di Rio Torsero, sito di importanza a livello nazionale per l'abbondanza e lo stato di conservazione dei fossili pliocenici.
Le marne e le argille dei fondali più profondi sono successivamente state ricoperte da sedimenti argilloso-sabbiosi, alternati ancora ad argille.
Oggi questi terreni, identificati con il nome "Argille di Ortovero", affiorano in diversi punti posti ai margini della Piana, ad un'altitudine compresa tra 40 ed 90 metri s.l.m.
Successivamente, gli apporti detritici dei torrenti colmarono progressivamente l'estremità dell'insenatura, dando forse origine a complessi deltizi anche piuttosto estesi.
Testimonianza di questa seconda fase sono rocce formate dalla cementazione delle sabbie e dei ciottoli trasportati dai corsi d'acqua, chiamate "Conglomerati del Monte Villa", note anche localmente con il nome di "Pietra di Cisano".
L'ultima fase pliocenica di riempimento della baia ingauna è testimoniata da terreni conglomeratici più recenti, aventi spesso colorazione arrossata, probabilmente dovuta all'alterazione pedogenetica della componente carbonatica, fase probabilmente avviatasi nel Villafranchiano, circa un milione di anni fa.

La rana verde maggiore (Rana balcanica, Schneider, Sinsch et Sofianidou, 1993).

E' una rana di origine balcanica, introdotta nell'imperiese (Torrente Impero) nel 1942; da allora questa specie è andata espandendosi in tutta la Liguria occidentale - dal confine con la Francia sino al Loanese - a scapito delle forme autoctone: la rana verde minore (Rana esculenta) e la rana agile (Rana dalmatina); la sua diffusione lungo i corsi d'acqua verso l'entroterra della Piana di Albenga ha ormai raggiunto anche ambiti submontani.
Le grandi dimensioni e la buona adattabilità ecologica sono le carte vincenti per la diffusione della specie; prevalentemente diurna, di solito è facile osservarla al sole nei pressi degli specchi acquei, anche artificiali ed inquinati, dalla fine di marzo sino a settembre-ottobre.
Molto caratteristico è il canto - udibile anche in pieno giorno - che ricorda vagamente una sonora risata, da cui il vecchio nome scientifico di Rana ridibunda (Pallas, 1771).
Caratteristica distintiva, che consente di classificare la specie, è la gola, che si presenta macchiata di grigio, al contrario della rana verde minore, dove invece è interamente bianca.

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